Uno sguardo in più al progetto dei facilitatori sociali

8.2. Il lavoro di riabilitazione psicosociale

8.2.1. La Storia

Fino a che punto un laboratorio manuale in sede protetta può restituire il mio senso di autonomia?

Fino a quando la fisioterapia intensiva, se costretto in una sedia a rotelle?

Fino a quando … tutto questo?

E per andare dove?

Quando alcuni nostri utenti, dopo qualche anno di frequenza presso il nostro CDD e avendo recuperato fin dove possibile le proprie competenze, hanno chiesto al nostro servizio di essere aiutati a pensare ad un futuro che restituisse loro dignità come persone, e non come ammalati o disabili o handicappati, l’intera equipe ha cominciato ad interrogarsi sulle possibilità e le problematiche insite nella relazione d’aiuto.

Un piccolo gruppo di operatori si è occupato di approfondire e conoscere le proposte riabilitative offerte da altre strutture e da altre realtà attraverso incontri, partecipazione a convegni e gruppi di studio.

Abbiamo così preso spunto da alcuni amici ed ex colleghi della U.O.P. di Saronno e dell’Alto Adige il concetto di recovery/guarigione[1] come costruzione di una vita soddisfacente e dotata di senso così come definita dalle persone stesse, nonostante la presenza o meno di deficit o problemi ricorrenti o permanenti.

Questo approccio riabilitativo, in uso in poche realtà psichiatriche italiane, sposa la filosofia della possibilità per tutti, della lotta allo stigma ed un invito ai servizi ad un miglioramento nella capacità di comunicare alle persone un senso di speranza, attraverso un linguaggio che trasmetta incoraggiamento e fiducia nelle loro potenzialità, e fornisca capacità a riprendere in mano la propria vita.

Se questi concetti sono aperti all’essere uomo in quanto tale, ci siamo permessi di applicarli, in modo sperimentale, anche nel contesto della disabilità neurologica.

Molti gli incontri d’équipe e di supervisione, molti workshop e partecipazione a convegni per condividere l’idea che operatori e servizi devono creare le condizioni e le opportunità affinché le persone possano ritrovare la propria strada, ricollocandosi nel proprio percorso esistenziale. In questo modo le persone possono esprimere se stesse nei diversi aspetti della propria vita, dalla casa, al lavoro e al tempo libero.

Da qui è nato il Progetto “E la vita continua. Consapevolezza e gestione della propria disabilità: l’utente diviene facilitatore sociale” che è stato presentato al I Convegno Nazionale delle Associazioni Italiane di Analisi Transazionale a Roma, il 24-26 febbraio 2012 con il titolo dell’intervento: “RI-COSTRUIRSI PERSONA” Come si cambia dopo una vita interrotta a causa di un incidente. Percorsi di counselling con un gruppo di utenti.

Nella stesura del Progetto, avevamo integrato gli assunti teorici dell’Analisi Transazionale (di cui alcuni nostri operatori sono formati) con quelli inerenti la Riabilitazione psichiatrica e psicosociale. Il contributo aveva messo in evidenza l’utilizzo dell’Analisi Transazionale (A.T.) “senza cera” in un intervento rivolto ad un gruppo di persone con cerebrolesioni acquisite. In tale contesto l’A.T,  come sistema teorico aperto, ha la funzione di integrare le competenze sanitarie con quelle psicopedagogiche, offrendo all’utenza e all’ equipe strumenti utili sia sul versante relazionale che tecnico. Che cosa proporre a persone giovani, afasiche o disartriche e/o in carrozzina da dieci anni, consapevoli della propria storia e desiderose di ri-costruirsi una vita improvvisamente interrotta, di ri-costruire legami e di ri-costruirsi persone? Cosa rispondere a queste persone che, dopo un lavoro autobiografico verbalizzato e trascritto aldilà difficoltà linguistiche, rivivono una sorta di “viaggio” dentro di sé tra passato (vita prima del trauma), presente (l’evento traumatico e la fatica di riprendersi e di esserci) e che in merito al futuro (aspettative, desideri e sogni) si sentono pronti, spaventati e soli? I principi di base dell’AT e in particolare il pensiero di MT Romanini[2], la sua idea di una “vita in attaccamento”  sono stati una guida per proporre un progetto dove un nuovo racconto di sé, una nuova narrazione che nasce all’interno di un gruppo, “luogo di attaccamento” come lo definisce A. Rotondo[3], facilita la persona ad assumersi responsabilità, a sentirsi aiutata a rischiare possibilità concrete e diverse in luoghi diversi da quelli sanitari, familiari o riabilitativi e ad aprire il suo copione di vita.

8.2.2. Il Progetto

Il progetto, iniziato a settembre del 2011, ha rispettato nei tempi e nei risultati gli obiettivi formativi della prima fase preparando gli utenti a sostenere una prova orale e pratica alla presenza di referenti esterni (seconda fase). Per la parte teorica il membro esterno della Commissione esaminatrice è stato la Responsabile dei servizi sociali, mentre per la parte pratica i coordinatori delle varie strutture in partnership con il progetto.

L’esperienza sia all’interno del gruppo “classe” che nei vari tirocini ha consentito di procedere con la costituzione di un gruppo mutuo auto-aiuto per sostegno e condivisione, oltre all’organizzazione di programmi occupazionali a cadenza settimanale durati sino al mese di agosto 2013.

La contrattazione iniziale, oltre ad aver coinvolto i servizi sociali, il territorio seregnese, le varie strutture interessate e divenute nostre partner,  ha previsto incontri con gli utenti partecipanti e i loro familiari affinché si potesse davvero pensare insieme e costruire insieme un futuro migliore per tutti: operatori, utenti e famiglie.

Il gruppo utenti ha partecipato a setting settimanali per migliorare le capacità relazionali che nel contesto gruppale rinforzano altresì la propria personalità. La teoria di riferimento adottata è stata l’Analisi Transazionale di Eric Berne che ha inteso la transazione come scambio relazionale fra individui dove il contesto relazionale risulta infatti essenziale per l’inquadramento del soggetto, inteso come uomo globale, non solo intrapsichico: i messaggi non verbali che derivano dal contesto comunicano anche più delle parole. La modalità di relazione è il sistema che ciascuno mette in atto per dare e ricevere riconoscimenti, unità fondamentali del rapporto sociale. L’interpretazione data da Berne, pur apportando sostanziali modifiche al pensiero di Freud, permane psicodinamica; inoltre sottolinea l’importanza che queste acquisizioni hanno non solo in psicoterapia, ma anche in settori diverso da quello clinico. Di questi incontri esistono verbali scritti ed inviati dagli utenti stessi via mail a tutti i componenti del gruppo. L’intersoggettività anche di questo aspetto è la componente fondamentale per il flusso e la trasmissione di pensieri ed emozioni accaduti nel setting e “rivisitati” all’esterno del contesto, costruendo nuovi legami dove il contenuto migliora il processo comunicativo. Ad esempio, parlare con i propri genitori di argomenti trattati e sentirsi agevolati nel potersi esprimere; migliorare la memoria attraverso la rilettura; semplicemente il piacere di avere una posta elettronica e poter ricevere messaggi, ecc.

Ogni bimestre sono stati effettuati incontri di verifica degli stage con i referenti delle strutture ospitanti, l’utente e il tutor per monitorare gli obiettivi ed eventualmente rinegoziarli; incontri serali con gli utenti e i familiari per un aggiornamento del progetto e per offrire ad entrambi un luogo di scambi e riconoscimenti reciproci, oltre al rinforzo dei legami.

La partecipazione al progetto, sia da parte dei servizi che di utenti e familiari, ha reso possibile l’organizzazione di un Convegno aperto alla cittadinanza per rendere visibile le possibilità nonostante le disabilità e le difficoltà che si incontrano quando avviene un trauma, superabili se non si è soli.

Il successo del Convegno dal titolo “ Ri-abilitare la persona. Presentazione del progetto E la vita continua. Consapevolezza e gestione della propria disabilità: l’utente diviene facilitatore sociale”, tenutosi il 18 maggio 2012 a Seregno è stato garantito dalla collaborazione istituzionale dell’Assessorato alle pari opportunità, dalla Scuola di Analisi Transazionale della Cooperativa Terrenuove di Milano, dalla partecipazione degli utenti in qualità di relatori, segretari, addetti al buffet e dalla testimonianza anche di alcuni familiari e partnership. Numerose le presenze di operatori di altri servizi e di associazioni di volontariato (un inizio della quarta fase del Progetto). Un successivo il 18 aprile 2015  dal Titolo “Ri-abilitare la persona nel suo divenire” ha coinvolto non solo utenti e cittadinanza, ma anche docenti dell’Università degli studi di Milano Bicocca promuovendo non solo il progetto ma la possibilità di realizzarlo in altri Centri riabilitativi.

8.2.3. L’evoluzione

Il superamento delle prove orali e pratiche ( terza fase) ha favorito nell’utente la consapevolezza, prima abbandonata, delle proprie REALI competenze messe in campo in contesti diversi da quello familiare o “protetto” del Centro Diurno, cioè in situazioni esterne e professionalizzanti con un implicito richiamo alla “normalità”. L’esperienza degli stage, oltre ai buoni risultati delle performance, è stata terapeutica perché ha curato l’anima ferita al momento dell’incidente e riabilitativa perché attraverso il fare ha autorizzato l’essere ad esistere, ri-abilitandolo. Si intende con questo che il contesto lavorativo e gli operatori, il lavoro svolto e la strutturazione del tempo hanno accompagnato l’utente a darsi il permesso di sentirsi OK, capace nonostante alcuni limiti permanenti, nuovamente utile e pronto a riprendersi la propria vita.

Raggiungere un livello di compromesso e di convivenza con la propria complessità è una forma di guarigione. Non sempre è facile riadattarsi al contesto di vita in cui ci si trova, perché i contesti del mondo non sempre sono salutari!

La guarigione è rinascita. E’ iniziare ad amare le piccole cose quotidiane.

La persona guarisce quando ha meno bisogno del servizio, quando ha dei momenti di felicità e riesce ad avere un certo potere contrattuale.

La guarigione è anche “ritrovare” la gioia di vivere, perché quando ripensando al passato, al cosiddetto “prima”,  essa manca.

L’accettazione del disagio da parte della persona, della sua famiglia che inizia A VEDERE anche le risorse del proprio congiunto e dalla società, è il primo passo verso la guarigione. La guarigione è anche la capacità di chiedere e offrire aiuto, perché il disagio e la sofferenza rendono le persone più sensibili.

8.2.4 La Speranza

E’ necessario promuovere e sostenere una cultura di accettazione dell’esperienza della disabilità come valore per la collettività: l’esperienza può aggiungere valore e non toglierlo.

Le persone con disabilità di varie origini non migliorano se sono in solitudine, se non hanno i contatti sociali, le risorse umane, culturali, spirituali e materiali che le aiutano a ristabilire un equilibrio personale.

Possono quindi essere molteplici gli aspetti del percorso di riconquista di una condizione di appartenenza a se stessi. Questa riconquista va intesa come capacità di riattivarsi che le persone hanno e si differenzia da un semplice “ pazientare”, farsi paziente, attendendo che qualcuno, dall’esterno, dispensi la salute.

I servizi devono essere capaci di aiutare le persone nell’attivare e nell’utilizzare le proprie risorse e quelle esterne, per ristabilire uno stato di salute generale.

Il tal senso, la guarigione diventa un diritto e acquista una dimensione politica: servono servizi (i cittadini devono rivendicarli laddove essi non esistono o sono inefficienti!) che garantiscano un’accoglienza e un percorso di cura adeguato, relazioni di aiuto che siano di reciprocità, risorse economiche per promuovere inserimenti nella società, politiche sociali e culturali che contrastino lo stigma e la discriminazione.

Uno degli obiettivi, previsti nella quarta fase, che dovrebbe indicativamente concludersi entro agosto 2014 riguarda proprio la possibilità di estendere l’esperienza e comunicarla ad altri servizi o strutture in modo da creare reti ed interventi in aiuto alla persona.

Quest’anno, specie a settembre inizieremo a sperimentarci come gruppo di mutuo auto aiuto, dove è prevista l’organizzazione di cineforum aperti alla cittadinanza e convegni. Come è interessante che la persona con disabilità si “spinga” sul territorio per integrarsi è altrettanto gradita la visita della cittadinanza nei luoghi in cui la disabilità viene accolta come normalità.

La speranza è poter continuare.

Il Progetto è nato con molta paura di non riuscire, anche a livello economico, a poterlo portare avanti. Ma, visti i risultati e l’accendersi delle speranze di tutte le persone coinvolte, specie gli operatori e i servizi che desiderano lavorare CON la persona e non PER la persona, si vorrebbe continuare cercando anche una definizione di linee guida che raccolgano idee, principi e pratiche condivise nei Servizi Orientati alla Recovery/Guarigione che si estenda anche all’area neurologica anche se le competenze territoriali e politico-amministrative sono diverse.

Ci auguriamo che possa essere un viaggio che molti avranno voglia di intraprendere, nella convinzione che molto c’é ancora da imparare, condividere e mettere in pratica.

 

[1] La maggior parte della letteratura che riguarda la recovery proviene dagli Stati Uniti e ha due fonti principali: il Movimento degli ex-utenti psichiatrici (consumer/survivors), basato sullo sviluppo e sulla rivendicazione dei Diritti umani e dell'autodeterminazione, e la letteratura afferente alla riabilitazione psichiatrica, volta alla reintegrazione nella comunità di persone dimesse dagli ospedali psichiatrici.

[2] Maria Teresa Romanini, Costruirsi persona, La vita felice, Milano, 1999

[3] dottore in filosofia, psicoterapeuta, analista transazionale didatta (TSTA-P), nostro supervisore.