Volontari

“Spesso sento dire che per fare volontariato bisogna avere determinate capacità, motivazioni ed essere particolarmente dotati; non è vero, la mia esperienza personale è iniziata assolutamente per caso.

Mi è capitato di sostituire mia sorella che collaborava nel trasporto da casa al luogo di lavoro e viceversa di una ragazza uscita dal coma che aveva ripreso a lavorare.

Non conoscevo nessuna delle persone con cui sono entrata in contatto e non conoscevo nulla sul coma, né sul post-coma, ho solo considerato di avere davanti a me delle persone.

Anzi credo che proprio per il fatto di non conoscere le persone che frequentavo mi rendesse più facile l’approccio in quanto non potevo fare  paragoni con il loro passato ed ho notato che  è una delle cose che più da loro fastidio.

Mi ricordo le prime volte che andavamo in piscina, il percorso con il pulmino diventava una scampagnata, si cantava tutti, tutto il viaggio con un’allegria quasi euforica, però il rapporto con le utenti nello spogliatoio era faticosissimo, si vergognavano e quindi diventava difficile gestirle, poi ho capito che bisognava scherzare su questo fatto per superare il problema ed alla fine ci sono riuscita, per fortuna!!!

Ho anche avuto momenti difficili quando mi sono trovata a collaborare con persone che non accettavano la loro nuova situazione perché si rendevano conto che non avrebbero più potuto avere una vita “normale” e qui bisogna essere realisti, senza scoraggiare ma neanche minimizzare.

Come ho fatto? Sono stata sincera e ho discusso con loro in modo leale.

Sono passati molti anni, ho avuto la fortuna di incontrare persone squisite e molto affettuose nello stesso tempo ho sempre cercato di mantenere un rapporto corretto, perché mi sono resa conto che si tende a sostituirsi agli utenti in difficoltà, ma questo non li aiuta.

Ho dovuto imparare le strategie per farmi accettare anche quando la giornata non gira nel modo giusto, o quando non hanno voglia di fare niente.

Quello che mi è mancato era l’informazione primaria sulle nuove persone, se non sai niente della persona che ti trovi davanti rischi di fare errori grossolani come quando mi è capitato di regalare un libro ad una ragazza che non era in grado di leggere e non me ne ero resa conto.

Ho ricevuto molto di più di quello che ho dato, anche da un punto di vista sociale se penso che sono stata premiata con una targa  da  Il Ritorno nel 2007 e dalla città di S. nel 2009 per il mio impegno nel sociale con il Premio Mimosa, sempre grazie alla segnalazione fatta da Il Ritorno”.

 

“Quando un ragazzo di 15 anni, come me, decide di fare uno stage in un Centro che ospita persone con disabilità acquisita, pensa di trovare un luogo di sofferenza, dove sfilano carrozzine e persone che, anziché parlare emettono suoni incomprensibili. Questa è l’immagine che la gente comune ha di queste persone e, quando le incontra, si commuove ma se nesta volentieri alla larga.

La mia esperienza in questo Centro ha, sin dal primo giorno, rotto questo pregiudizio: la prima cosa (e anche l’ultima) che si percepisce è l’assoluta naturalezza e felicità che si respira lì dentro. Non ti accorgi della diversità, ti senti di appartenere ad un gruppo, ti diverti, ti impegni nelle scite e, soprattutto, sei tu che anziché dare, ricevi amicizia  e serenità.

Alcune utenti mi hanno raccomandato di mettermi il casco, di non impennare in motorino, di non andare forte perché loro, non avendolo fatto, si sono trovate vittime di incidente. Mi hanno spiegato, in modo semplice ed efficace, ce la vita è bella e che loro sono felice per il semplice fatto di essere ancora vive.

In quell’ambiente gli operatori e gli utenti vivono in serenità e, davvero, formano un gruppo di persone che valorizzano le piccole cose.

Con un mio amico, abbiamo regalato una serata con un piccolo concerto rock e siamo e saremo sempre disponibili per dire insieme a loro che la vita è davvero bella.

Grazie”.