Skip to main content

CONTRIBUTI SCIENTIFICI

Per saperne di più

ENTRA NELLA NOSTRA ASSOCIAZIONE

Attività e opportunità per tornare alla vita

PROGETTO FACILITATORI SOCIALI

Progetto Facilitatori in collaborazione con istituzioni, commercianti e territorio.

“E la vita continua. Consapevolezza e gestione della propria disabilità: l’utente diviene facilitatore sociale”

Responsabile del progetto: R. Suglia
Tutor: M. Belluschi

Il Progetto nasce nel 2011 quando alcuni nostri utenti, dopo qualche anno di frequenza presso il nostro CDD e avendo recuperato fin dove possibile le proprie competenze, hanno chiesto al nostro servizio di essere aiutati a pensare ad un futuro che restituisse loro dignità come persone, e non come ammalati o disabili o handicappati.

Questo approccio riabilitativo, in uso in poche realtà psichiatriche italiane, sposa la filosofia della possibilità per tutti, della lotta allo stigma ed un invito ai servizi ad un miglioramento nella capacità di comunicare alle persone un senso di speranza, attraverso un linguaggio che trasmetta incoraggiamento e fiducia nelle loro potenzialità, e fornisca capacità a riprendere in mano la propria vita.

Se questi concetti sono aperti all’essere uomo in quanto tale, ci siamo permessi di applicarli, in modo sperimentale, anche nel contesto della disabilità neurologica.

La contrattazione iniziale, oltre ad aver coinvolto i servizi sociali, il territorio seregnese, le varie strutture interessate e divenute nostre partner, ha previsto incontri con gli utenti partecipanti e i loro familiari affinché si potesse davvero pensare insieme e costruire insieme un futuro migliore per tutti: operatori, utenti e famiglie. Dopo una formazione teorica e la partenza di un gruppo terapeutico, gli utenti sono impegnati in stage esterni presso alcune strutture in partnership con il Progetto.

Partecipano a Convegni e ne organizzano di altri. Si sta costituendo un gruppo di mutuo auto-aiuto affinché le competenze possano essere messe in campo in situazioni nuove, non protette.

L’esperienza di tipo occupazionale, negli stage, con i suoi risultati soddisfacenti ha permesso alla persona di darsi il permesso di sentirsi OK, capace nonostante alcuni limiti permanenti, nuovamente utile e pronto a riprendersi la propria vita.

L’accettazione del disagio da parte della persona, della sua famiglia che inizia A VEDERE anche le risorse del proprio congiunto e dalla società, è il primo passo verso la guarigione.

La guarigione è anche la capacità di chiedere e offrire aiuto, perché il disagio e la sofferenza rendono le persone più sensibili.

PROGETTO FACILITATORI SOCIALI: IL LAVORO DI RIABILITAZIONE SOCIALE

Il lavoro di Riabilitazione Psicosociale. Storia ed Evoluzione.

Fino a che punto un laboratorio manuale in sede protetta può restituire il mio senso di autonomia? Fino a quando la fisioterapia intensiva, se costretto in una sedia a rotelle? Fino a quando … tutto questo?

E per andare dove?

Il Progetto

Il progetto, iniziato a settembre del 2011, ha rispettato nei tempi e nei risultati gli obiettivi formativi della prima fase preparando gli utenti a sostenere una prova orale e pratica alla presenza di referenti esterni (seconda fase). Per la parte teorica il membro esterno della Commissione esaminatrice è stato la Responsabile dei servizi sociali, mentre per la parte pratica i coordinatori delle varie strutture in partnership con il progetto.

L’esperienza sia all’interno del gruppo “classe” che nei vari tirocini ha consentito di procedere con la costituzione di un gruppo mutuo auto-aiuto per sostegno e condivisione, oltre all’organizzazione di programmi occupazionali a cadenza settimanale durati sino al mese di agosto 2013.

La contrattazione iniziale, oltre ad aver coinvolto i servizi sociali, il territorio seregnese, le varie strutture interessate e divenute nostre partner,  ha previsto incontri con gli utenti partecipanti e i loro familiari affinché si potesse davvero pensare insieme e costruire insieme un futuro migliore per tutti: operatori, utenti e famiglie.

Il gruppo utenti ha partecipato a setting settimanali per migliorare le capacità relazionali che nel contesto gruppale rinforzano altresì la propria personalità. La teoria di riferimento adottata è stata l’Analisi Transazionale di Eric Berne che ha inteso la transazione come scambio relazionale fra individui dove il contesto relazionale risulta infatti essenziale per l’inquadramento del soggetto, inteso come uomo globale, non solo intrapsichico: i messaggi non verbali che derivano dal contesto comunicano anche più delle parole. La modalità di relazione è il sistema che ciascuno mette in atto per dare e ricevere riconoscimenti, unità fondamentali del rapporto sociale. L’interpretazione data da Berne, pur apportando sostanziali modifiche al pensiero di Freud, permane psicodinamica; inoltre sottolinea l’importanza che queste acquisizioni hanno non solo in psicoterapia, ma anche in settori diverso da quello clinico. Di questi incontri esistono verbali scritti ed inviati dagli utenti stessi via mail a tutti i componenti del gruppo. L’intersoggettività anche di questo aspetto è la componente fondamentale per il flusso e la trasmissione di pensieri ed emozioni accaduti nel setting e “rivisitati” all’esterno del contesto, costruendo nuovi legami dove il contenuto migliora il processo comunicativo. Ad esempio, parlare con i propri genitori di argomenti trattati e sentirsi agevolati nel potersi esprimere; migliorare la memoria attraverso la rilettura; semplicemente il piacere di avere una posta elettronica e poter ricevere messaggi, ecc.

Ogni bimestre sono stati effettuati incontri di verifica degli stage con i referenti delle strutture ospitanti, l’utente e il tutor per monitorare gli obiettivi ed eventualmente rinegoziarli; incontri serali con gli utenti e i familiari per un aggiornamento del progetto e per offrire ad entrambi un luogo di scambi e riconoscimenti reciproci, oltre al rinforzo dei legami.

La partecipazione al progetto, sia da parte dei servizi che di utenti e familiari, ha reso possibile l’organizzazione di un Convegno aperto alla cittadinanza per rendere visibile le possibilità nonostante le disabilità e le difficoltà che si incontrano quando avviene un trauma, superabili se non si è soli.

Il successo del Convegno dal titolo “ Ri-abilitare la persona. Presentazione del progetto E la vita continua. Consapevolezza e gestione della propria disabilità: l’utente diviene facilitatore sociale”, tenutosi il 18 maggio 2012 a Seregno è stato garantito dalla collaborazione istituzionale dell’Assessorato alle pari opportunità, dalla Scuola di Analisi Transazionale della Cooperativa Terrenuove di Milano, dalla partecipazione degli utenti in qualità di relatori, segretari, addetti al buffet e dalla testimonianza anche di alcuni familiari e partnership. Numerose le presenze di operatori di altri servizi e di associazioni di volontariato (un inizio della quarta fase del Progetto). Un successivo il 18 aprile 2015  dal Titolo “Ri-abilitare la persona nel suo divenire” ha coinvolto non solo utenti e cittadinanza, ma anche docenti dell’Università degli studi di Milano Bicocca promuovendo non solo il progetto ma la possibilità di realizzarlo in altri Centri riabilitativi.

L’evoluzione

Il superamento delle prove orali e pratiche ( terza fase) ha favorito nell’utente la consapevolezza, prima abbandonata, delle proprie REALI competenze messe in campo in contesti diversi da quello familiare o “protetto” del Centro Diurno, cioè in situazioni esterne e professionalizzanti con un implicito richiamo alla “normalità”. L’esperienza degli stage, oltre ai buoni risultati delle performance, è stata terapeutica perché ha curato l’anima ferita al momento dell’incidente e riabilitativa perché attraverso il fare ha autorizzato l’essere ad esistere, ri-abilitandolo. Si intende con questo che il contesto lavorativo e gli operatori, il lavoro svolto e la strutturazione del tempo hanno accompagnato l’utente a darsi il permesso di sentirsi OK, capace nonostante alcuni limiti permanenti, nuovamente utile e pronto a riprendersi la propria vita.

Raggiungere un livello di compromesso e di convivenza con la propria complessità è una forma di guarigione. Non sempre è facile riadattarsi al contesto di vita in cui ci si trova, perché i contesti del mondo non sempre sono salutari!

La guarigione è rinascita. E’ iniziare ad amare le piccole cose quotidiane.

La persona guarisce quando ha meno bisogno del servizio, quando ha dei momenti di felicità e riesce ad avere un certo potere contrattuale.

La guarigione è anche “ritrovare” la gioia di vivere, perché quando ripensando al passato, al cosiddetto “prima”,  essa manca.

L’accettazione del disagio da parte della persona, della sua famiglia che inizia A VEDERE anche le risorse del proprio congiunto e dalla società, è il primo passo verso la guarigione. La guarigione è anche la capacità di chiedere e offrire aiuto, perché il disagio e la sofferenza rendono le persone più sensibili.

La Speranza

E’ necessario promuovere e sostenere una cultura di accettazione dell’esperienza della disabilità come valore per la collettività: l’esperienza può aggiungere valore e non toglierlo.

Le persone con disabilità di varie origini non migliorano se sono in solitudine, se non hanno i contatti sociali, le risorse umane, culturali, spirituali e materiali che le aiutano a ristabilire un equilibrio personale.

Possono quindi essere molteplici gli aspetti del percorso di riconquista di una condizione di appartenenza a se stessi. Questa riconquista va intesa come capacità di riattivarsi che le persone hanno e si differenzia da un semplice “ pazientare”, farsi paziente, attendendo che qualcuno, dall’esterno, dispensi la salute.

I servizi devono essere capaci di aiutare le persone nell’attivare e nell’utilizzare le proprie risorse e quelle esterne, per ristabilire uno stato di salute generale.

Il tal senso, la guarigione diventa un diritto e acquista una dimensione politica: servono servizi (i cittadini devono rivendicarli laddove essi non esistono o sono inefficienti!) che garantiscano un’accoglienza e un percorso di cura adeguato, relazioni di aiuto che siano di reciprocità, risorse economiche per promuovere inserimenti nella società, politiche sociali e culturali che contrastino lo stigma e la discriminazione.

Uno degli obiettivi, previsti nella quarta fase, che dovrebbe indicativamente concludersi entro agosto 2014 riguarda proprio la possibilità di estendere l’esperienza e comunicarla ad altri servizi o strutture in modo da creare reti ed interventi in aiuto alla persona.

Quest’anno, specie a settembre inizieremo a sperimentarci come gruppo di mutuo auto aiuto, dove è prevista l’organizzazione di cineforum aperti alla cittadinanza e convegni. Come è interessante che la persona con disabilità si “spinga” sul territorio per integrarsi è altrettanto gradita la visita della cittadinanza nei luoghi in cui la disabilità viene accolta come normalità.

La speranza è poter continuare.

Il Progetto è nato con molta paura di non riuscire, anche a livello economico, a poterlo portare avanti. Ma, visti i risultati e l’accendersi delle speranze di tutte le persone coinvolte, specie gli operatori e i servizi che desiderano lavorare CON la persona e non PER la persona, si vorrebbe continuare cercando anche una definizione di linee guida che raccolgano idee, principi e pratiche condivise nei Servizi Orientati alla Recovery/Guarigione che si estenda anche all’area neurologica anche se le competenze territoriali e politico-amministrative sono diverse.

Ci auguriamo che possa essere un viaggio che molti avranno voglia di intraprendere, nella convinzione che molto c’é ancora da imparare, condividere e mettere in pratica.

Bibliografia

[1] La maggior parte della letteratura che riguarda la recovery proviene dagli Stati Uniti e ha due fonti principali: il Movimento degli ex-utenti psichiatrici (consumer/survivors), basato sullo sviluppo e sulla rivendicazione dei Diritti umani e dell’autodeterminazione, e la letteratura afferente alla riabilitazione psichiatrica, volta alla reintegrazione nella comunità di persone dimesse dagli ospedali psichiatrici.

[2] Maria Teresa Romanini, Costruirsi persona, La vita felice, Milano, 1999

[3] dottore in filosofiapsicoterapeuta, analista transazionale didatta (TSTA-P), nostro supervisore.

RESILIENZA E CAMBIAMENTO DOPO UN TRAUMA

Opzioni Possibili

 

“La persona c’è quando può partecipare!” Questa frase sentita in molte occasioni di confronto e di congresso ha condotto la nostra equipe ad una serie di pensieri ed emozioni che guidano i nostri interventi con i nostri utenti e i loro familiari, con gli operatori e i servizi coinvolti nel prendersi cura delle giovani persone, vittime di incidenti stradali e cerebrovascolari.

 

Nel cercare insieme possibili risposte abbiamo integrato gli assunti teorici dell’Analisi Transazionale (di cui alcuni nostri operatori sono formati) con quelli inerenti la Riabilitazione psichiatrica e psicosociale (in particolare i concetti di recovery/guarigione[1] come costruzione di una vita soddisfacente e dotata di senso, nonostante la presenza o meno di deficit o problemi ricorrenti o permanenti). I principi di base dell’AT e in particolare il concetto di physis (dal greco Φυσις tradotto con “natura”), principio vitale della totalità ripreso da Berne come “forza di crescita della natura, che trasforma organismi meno evoluti in organismi più evoluti…”[2] che spingono le persone verso l’espressione di sé e l’autonomia, sono stati una guida per proporre e costruire un progetto nuovo, differente da quelli comunemente proposti nelle strutture che si occupano di disabilità acquisite. Un progetto-percorso dove un nuovo racconto di sé, una nuova narrazione che nasce all’interno di un gruppo, “luogo di attaccamento” come lo definisce A. Rotondo[3], consente alla persona di costruire un legame con la propria esistenza, di sentirsi un soggetto in una realtà meno estranea e all’operatore di dare senso alla relazione, al di là delle pratiche assistenziali o riabilitative convenzionali. Valorizzare il “qui ed ora” della relazione permette di incontrare la totalità della persona cogliendo quel suo modo “originario di essere nel mondo” come afferma Ludwig Binswanger (trad. Per un’antropologia fenomenologica, Feltrinelli, Milano, 1990) e che si ristruttura anche dopo un evento traumatico. Al quadro fenomenologico, l’Analisi Transazionale offre i suoi strumenti d’intervento che, con l’Okness a sostegno dell’intersoggettività, la teoria del copione come stile di vita e quindi modo “di essere nel mondo”, l’atteggiamento contrattuale e il riconoscimento dell’altro come soggetto, hanno restituito il permesso di esistere orientando gli operatori verso interventi volti a ri-abilitare la persona nel suo contesto di appartenenza, valorizzando la resilienza e il cambiamento che ogni individuo desidera per se stesso. Proprio attorno alla focalizzazione delle risorse, competenza di base del counsellor analista transazionale, attraverso la presentazione di alcuni casi possiamo, in sede di workshops, condividere l’idea che il riconoscimento delle risorse possa divenire fonte di motivazione aprendo nuove opzioni e nuove esperienze di cambiamento, di autonomia e di speranza, anche dopo un evento traumatico.

Osservare nel tempo alcuni nostri utenti impegnati come volontari nel sociale, occupati come barman in alcuni circoli giovanili, trascorrere autonomamente serate presso strutture dove di giorno svolgono le loro attività occupazionali è un sogno che sta prendendo forma e sostanza nell’immaginario e nelle aspettative di tutti gli attori coinvolti.

 

Rossana Suglia

 

© Rossana Suglia.
Per l’utilizzo e approfondimenti si prega di contattare l’Associazione IL RITORNO APS.

Bibliografia

[1] La maggior parte della letteratura che riguarda la recovery proviene dagli Stati Uniti e ha due fonti principali: il Movimento degli ex-utenti psichiatrici (consumer/survivors), basato sullo sviluppo e sulla rivendicazione dei Diritti umani e dell’autodeterminazione, e la letteratura afferente alla riabilitazione psichiatrica, volta alla reintegrazione nella comunità di persone dimesse dagli ospedali psichiatrici.

[2] Dall’articolo Aspiration or Adaptation? Un Unresolved Tension in Eric Berne Basic Beliefs, pubblicato e tradotto sul “TAJ” vol.40,3-4,2010, tradotto e ripubblicato con il permesso dell’autore e dell’ITAA su Quaderni di Psicologia Analisi Transazionale e Scienze Umane, n.57-2012)

[3] dottore in filosofia, psicoterapeuta, analista transazionale didatta (TSTA-P), Scuola di Analisi Transazionale e Counselling, Cooperativa Terrenuove, Milano

SIMPOSIO: LA NARRAZIONE DI SÉ COME CURA E STRUMENTO DI CONSAPEVOLEZZA

Riconoscere per includere: percorsi personali e professionali con utenti, familiari ed operatori.

Quando disabili con cerebrolesioni acquisite a seguito di un incidente stradale o a una malattia vascolare, famiglie, operatori e volontari si raccontano nasce una narrazione capace di offrire una presa di consapevolezza che incoraggia la guarigione e aumenta l’autostima.

GLI UTENTI, LE FAMIGLIE, GLI OPERATORI E I VOLONTARI SI RACCONTANO

L’autobiografia e la narrazione orale di sé si sta affermando in molti luoghi educativi come proposta formativa finalizzata all’attivazione o ri-attivazione di percorsi di crescita individuali e di gruppo. Tale pratica tende a sollecitare nei soggetti il recupero di quelle “tracce di senso” esistenziali, relazionali, cognitive, affettive presenti lungo la  personale storia di vita spesso sommersa  dalla superficialità e automaticità che accompagna gli atti della vita quotidiana vissuti con molteplici interferenze che accrescono il disagio e  il disorientamento.

L’uso dell’autobiografia si sta affacciando nelle pratiche pedagogiche  perché tende a incoraggiare e a sostenere il sentimento di autostima che è alla base della capacità di ridisegnare la personale storia di vita, sia in termini di ri-comprensione di quella precedente, sia in termini di permanente riformulazione progettuale… E la sfida educativa consiste nell’offerta di un break evolutivo che confligge con una vita considerata come contenitore di cose delle quali è sempre più difficile, se non addirittura impossibile, scoprire il “valore aggiunto”.

Compito dell’educatore nel setting è quello di favorire lo sviluppo di uno spazio per  promuovere forme di esperienza individuali e collettive autenticamente vissute e non solamente agite. L’educatore  ricopre la posizione di colui che cerca di esplicitare un ascolto continuamente corretto dall’autoreferenzialità di chi narra, senza imporre un codice interpretativo a priori.

La condivisione di percorsi personali e professionali con utenti, familiari ed operatori favorisce la comunicazione di importanti messaggi a persone estranee a tematiche neurologiche, vascolari e traumatiche.

FINALITÀ: RICONOSCERE PER INCLUDERE

Nella prospettiva autobiografica da una sofferenza si guarisce soltanto a patto di sperimentarla pienamente, di fissarla ben in volto per poi poter guardare oltre il dolore, creare la distanza emotiva necessaria per prenderne distacco e aprirsi a nuove possibilità.

Nell’idea relazionale, l’inno alla vita e al suo valore acquisiscono significato nello stesso momento in cui si ha la possibilità di esprimerli.

Soltanto così narrare e scrivere possono diventare sfogo, liberazione, cura.

OBIETTIVI:

  • Promuovere cultura e conoscenza di altre realtà: far conoscere la realtà dell’evento del post-coma da parte di chi lo ha vissuto e lo sta vivendo. I trattati medici, psicologici e sociali danno indicazioni clinico – teoriche precise e chiare tralasciando, però, quei contenuti esperienziali appartenenti dapprima al soggetto, alla sua famiglia e successivamente a tutti gli operatori che, ogni giorno, cercano di restituire alla persona autonomie per una vita qualitativamente possibile.
  • Permettere di esistere ANCORA: ogni uomo và incoraggiato e sostenuto nello svelamento di quella storia personale faticosamente costruita all’interno delle relazioni che ha organizzato e costantemente ri-organizza nell’incontro con gli altri e con il mondo circostante
  • Accompagnare verso l’autonomia: la preoccupazione pedagogica dell’educatore sta tutta nell’invito rivolto a ciascun uomo a fare della vita una ricerca permanente di senso e non nella proposta di modulare nel tempo un percorso già dato ed elaborato altrove.
  • Rispettare i diritti di ciascuno: guardare l’uomo nella sua capacità di essere, cioè di divenire, di volta in volta e in ogni luogo, soggetto autenticamente storico
  • Rifiutare la fatalità: La ricostruzione di senso, in termini autobiografici, impegna la memoria non come “luogo” dove si celano i reperti archeologici di un’esistenza ormai consumata e da studiare e inventariare, bensì come “luogo” metaforico dove un io tessitore e mediatore cognitivo ed affettivo lavora instancabilmente come formatore di se stesso – navigatore infaticabile fra quegli schemi e quelle pratiche – nello sforzo costante di attribuire senso e orientamento al corso della vita.
YouTube

Caricando il video, l'utente accetta l'informativa sulla privacy di YouTube.
Scopri di più

Carica il video

CONTENUTI

I recenti approcci biografici e narrativi mostrano come proprio la narrazione sia un elemento centrale nella vita dell’uomo. La narrazione individuale di storie genera l’organizzazione mentale di una biografia personale che, adeguatamente intrecciata con le storie di altre vite, contribuisce a donare un senso alle proprie esperienze ed alla propria esistenza.

Questo perché, nel corso della vita, non facciamo altro che raccontare noi stessi attraverso storie che rappresentano dei veri e propri atti narrativi in quanto frutto di operazioni attive di organizzazione ed elaborazione dei diversi episodi che riteniamo più importanti per la nostra vita (cfr.Callieri, 1999-2000).

Tale operazione nasce dall’esigenza di raccontarci all’esterno, oltre alla necessità di dare un senso a ciò che ci accade permettendoci di far conoscere agli altri la nostra realtà. Nasce dal desiderio di raccontarci persino a noi stessi.

Oltre ad essere un essenziale strumento relazionale quindi, la narrazione rappresenta anche, e soprattutto, la via attraverso cui dare forma alla propria identità.

Il qui ed ora del setting educativo diventa il luogo e il tempo fertile all’interno dei quali iniziare a vivere esperienze nuove, nuovi modi di sentire, versioni diverse della propria esistenza e, quindi, nuovi racconti.

“Ricostruire una storia diviene dunque un costruire insieme un tratto di vita, rimodellare parti di  sé, delle rappresentazioni della propria identità e del proprio contesto sociale” (Venturini,1995,pp. 56). Significa dare origine ad un racconto nuovo che, in quanto condiviso, crea un confronto all’interno del quale l’educatore si muove verso un obiettivo: facilitare la persona nell’assunzione di responsabilità, aiutarla a rischiare possibilità diverse, ad aprire un copione di vita che si ripeteva sempre nello stesso modo. La aiuta a riaprire il finale, in un certo senso, in quanto gli offre la possibilità di togliere la parola fine.

Nella prospettiva autobiografica da una sofferenza si guarisce soltanto a patto di sperimentarla pienamente, di fissarla ben in volto per poi poter guardare oltre il dolore, creare la distanza emotiva necessaria per prenderne distacco e aprirsi a nuove possibilità. Nell’idea relazionale, l’inno alla vita e al suo valore acquisiscono significato nello stesso momento in cui si ha la possibilità di esprimerli.

© Rossana Suglia.
Per l’utilizzo e approfondimenti si prega di contattare l’Associazione IL RITORNO APS.

2018: IL CIRCOLO ARCI

2018: IL CIRCOLO ARCI IL RITORNO

Nel 2011 è stato avviato il Progetto “E la vita continua: Consapevolezza e gestione della propria disabilità: l’utente diviene facilitatore sociale”, quando alcuni nostri utenti, dopo qualche anno di frequenza presso il nostro CDD e avendo recuperato fin dove possibile le proprie competenze, avevano chiesto al nostro servizio di essere aiutati a pensare ad un futuro che restituisse loro dignità come persone, e non come ammalati o disabili o handicappati. L’esperienza di tipo occupazionale, negli stage, con i suoi risultati soddisfacenti ha permesso alla persona di darsi il permesso di sentirsi competente e capace, nuovamente utile e pronta a riprendersi la propria vita nonostante alcuni limiti permanenti.

L’accettazione del disagio da parte della persona, della sua famiglia che inizia A VEDERE le risorse del proprio congiunto e della società, è il primo passo verso la guarigione sociale, detta o conosciuta come “recovery sociale”.

La guarigione è anche la capacità di chiedere e offrire aiuto, perché il disagio e la sofferenza rendono le persone più sensibili.

PROGETTO FACILITATORI: CONTRIBUTO SCIENTIFICO

Il progetto avviato grazie al coraggio e all’intuizione dei nostri utenti, è diventato un esperimento sociale oggetto di studi e approfondimenti scientifici.

CLICCA E CONSULTA

A supporto della bella esperienza e dei risultati raggiunti, non solo in termini oggettivi (riuscire a impegnarsi in un ufficio al PC o in reception o a produrre documenti, in un negozio come commesso, in un circolo come volontario, rendersi disponibile con gli altri utenti in difficoltà …),  ma anche soggettivi e portatori di incremento di autostima, il 17/02 2018  è stato aperto  un  circolo ARCI con l’ idea di modificare l’atteggiamento culturale sulla disabilità, prendendo coscienza di cosa essa significhi, attivando processi empatici, di rispetto, solidarietà e inclusione positiva.

Creando un circolo ARCI si è voluto creare uno  spazio  che  offrisse  qualità  al  tempo  libero  e opportunità di socializzazione ad adulti, giovani, bambini, anziani per rispondere alla logica dell’ integrazione dove gli interventi sono realizzati in modo da favorire lo scambio e l’interazione tra cittadini (compresi  gli  operatori  e  volontari  del  circolo)  portatori  di  bisogni  differenti  con  l’obiettivo  di  sviluppare  la  solidarietà  sociale  e  il  senso  di  appartenenza  al territorio.

Il 5/07 2019 l’Associazione si iscrive come persona giuridica “IL RITORNO APS, registro regionale delle persone giuridiche private al n. d’ordine 2967.

Con il sopraggiungere della pandemia il progetto con le sue declinazioni operative, è stato momentaneamente sospeso ed è in fase di rivalutazione e il CDD ha seguito le indicazioni regionali di chiusura e riapertura graduale.

Convegni

PRIMO CONVEGNO NAZIONALE DELLE ASSOCIAZIONI ITALIANE DI ANALISI TRANSAZIONALE

Cultura, identità e cambiamento in A.T. – Roma 24-26 Febbraio 2012.

“RI-COSTRUIRSI PERSONA

Come si cambia dopo una vita interrotta a causa di un incidente stradale o vascolare. Percorsi di counselling con un gruppo di utenti”.

“Persona non si nasce ma si diventa progressivamente, lungo tutta la vita, in quel rapporto tra la vita in adattamento (o copione) e la vita vera, e cioè tra difesa dagli altri e rischio di conoscenza affettiva che continua tutta la vita … (M. T. Romanini, Costruirsi persona, Milano, La vita felice, 1999”).

E’ così che la Romanini fa un elogio alla persona che può divenire se stessa soltanto quando accetta di viversi, IN PRIMA PERSONA, il legame con altre generazioni che si tengono strettamente per mano. La vita in attaccamento ci aiuta ad incontrare l’altro, riconoscendolo nelle sue competenze e nelle sue possibilità e diviene un invito prezioso ai professionisti e a chi come me, in fase di apprendimento nel campo analitico transazionale, uniscono le conoscenze e le competenze alla passione per il proprio lavoro.

Nel contesto delle cerebrolesioni acquisite, dove presto servizio come Responsabile, sto applicando l’Analisi Transazionale “senza cera” , come sistema teorico aperto che integra la mia formazione sanitaria a quella psicopedagogica, offrendo all’utenza e alla mia equipe strumenti utili sia sul versante relazionale che tecnico.

Il trauma, dopo incidenti stradali o cerebrovascolari, manda in frantumi la personalità del soggetto e, se nessuno raccoglie e rimette insieme i pezzi, la vittima resta morta o torna a vivere soltanto parzialmente.

Il ritorno alla vita avviene silenziosamente, accompagnato dallo strano piacere di aver ottenuto una seconda possibilità. Se la persona è sostenuta dall’affetto quotidiano dei suoi cari e il discorso culturale e sociale le permette di dare un senso alla sua ferita, può riprendere un altro tipo di sviluppo. Ogni trauma è destinato ad un cambiamento, altrimenti resta morto.

Che cosa proporre a persone giovani, afasiche o disartriche (e quindi difficilmente accessibili alla psicoterapia) e/o in carrozzina da dieci anni ma consapevoli della propria storia e desiderosi di ri-costruirsi una vita improvvisamente interrotta, di ri-costruire legami e di ri-costruirsi persone???

Come counselor complementare, all’interno dell’equipe stiamo cercando di rispondere alle mille sollecitazioni degli utenti che, dopo un lavoro autobiografico verbalizzato e trascritto nonostante le difficoltà linguistiche, hanno rivissuto una sorta di “viaggio” dentro di sé tra passato (vita prima del trauma), presente (l’evento traumatico e la fatica di riprendersi e di esserci) e che in merito al futuro (aspettative, desideri e sogni) si sentono pronti, spaventati e soli.

Su questi richiami e sullo stimolo alla “vita in attaccamento come consueto ritrovarsi nel pensare all’altro e a noi, accettando, perdonando, divertendoci di qualcosa che di primo acchito era ostico … è insight, è il piacere di un regalo insperato, è l’accorgersi dei tanti regali che il tempo ci ha preparato lungo gli anni e credevamo di aver guadagnato col solo nostro impegno …” di M. T. Romanini, 1997, stiamo sperimentando un progetto con gli utenti, i familiari, il territorio (comune e provincia) e i servizi che apra le porte verso percorsi formativi e occupazionali, affinché la persona con cerebrolesione acquisita possa ritornare a vivere, sentendosi competente utile (l’okness è la base di ogni nostro intervento).

Ricostruirsi persona parte dando origine ad un racconto nuovo che, proprio perché condiviso all’interno di un gruppo, facilita la persona ad assumersi responsabilità, a sentirsi aiutata a rischiare possibilità concrete e diverse in luoghi diversi da quelli sanitari, familiari o riabilitativi, ad aprire un copione di vita che si ripeteva allo stesso modo, a riaprire un finale che elimini la parola “fine”.

Questa esperienza rende visibile i suggerimenti della Romanini sull’attenzione al bisogno di attaccamento come tendenza innata (su base biopsicologica), all’”esserci nella relazione” nelle forme “stare con”e “percepirsi separato da” (Fornaro, 1995), e alla dimensione del dialogo come “vitale confronto di idee e di esperienze” (M.T. Romanini, 1985).

© Rossana Suglia.
Per l’utilizzo e approfondimenti si prega di contattare l’Associazione IL RITORNO APS.

Bibliografia

  • ATTANASIO S., PIERINI A., “Lo sviluppo del Sé per Maria Teresa Romanini: l’Analisi Transazionale Personalistica”, Riv.It. di AT e Met. Psicot., XXVIII, 17(54), 2008
  • BERNE E., “Ciao!”..e poi?. La psicologia del destino umano. Bompiani editore, 1979
  • BERNE E.Principi di terapia di gruppo, Astrolabio, Roma, 1986
  • BERNE E.“Analisi Transazionale e Psicoterapia”, Astrolabio
  • BOWLBY J. (1969), trad. it. Attaccamento e perdita. L’attaccamento alla madre, Boringhieri, Torino 1999.
  • BOWLBY J., “ Costruzione e rottura dei legami affettivi”, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1982
  • FORNARO A., “Il Genitore: nuclei di identitá personale e familiare”, Riv.It. di AT e Met. Psicot., XV, 29, 1995
  • ENGLISH F., “Fin dove i copioni?” Estratto da Neopsiche Rivista di Psicologia e Scienze Umane, anno 9, n. 15, giugno 1991
  • ROMANINI M.T., Costruirsi persona, Milano, La vita felice, 1999

Laboratori

prendipARTE: TEORIE E PRATICHE DELLA TERAPEUTICA ARTISTICA

Laboratorio per la scoperta dell’arte come canale comunicativo. A cura di Donatella La Pietra.

Gli anni di formazione presso il corso specialistico di Teorie e Pratiche della Terapeutica Artistica sono stati due anni intensi di studio e sperimentazione di questa disciplina all’interno di diversi Atelier situati nei più svariati ambiti. Due anni di “abbraccio”, due anni di scoperte, due anni di conoscenza di noi stessi, dei nostri limiti e superamento di questi con lo scopo di portare l’abbraccio della Terapeutica Artistica all’interno di diversi enti e ambiti grazie alla capacità acquisita di studiare e organizzare un progetto e condurre personalmente un laboratorio. Al termine dei due anni di studio e sperimentazione, ho potuto realizzare il mio laboratorio di Terapeutica Artistica conducendolo e ideandolo personalmente, con la convinzione che l’Arte con il suo calore, potesse creare un “qui ed ora” di condivisione all’interno del quale ogni personalità avesse la possibilità di sentirsi parte di un unico abbraccio.

Con la scelta dell’utenza non ho avuto dubbi, sentivo la necessità di “esserci dopo”. Durante l’esperienza dei due anni di Terapeutica Artistica ho avuto il piacere di conoscere e collaborare con Giusy Versace e il gruppo di Disability. È stato un incontro folgorante in quanto grazie alle parole di Giusy ho scoperto quanto il trauma potesse essere punto di partenza per un nuovo ed inaspettato inizio fatto di relazioni, emozioni, condivisione e scoperte di sé. Una rinascita che dà l’idea di una farfalla, che da bruco, a larva, si trasforma in un insetto volante, colorato e vitale; la farfalla inizia la sua vita “strisciando” e, in seguito, attraverso un processo di trasformazione, impara a volare portando sulle sue ali i colori dell’arcobaleno. Essa ci insegna dunque che ogni metamorfosi, sia pure peggiore, possiede un suo ordine. Ecco che la scelta dell’utenza per il mio progetto è stata decisiva, passeggiando per le vie di un paese in provincia di Monza e Brianza, rimanevo sempre affascinata dall’immagine del logo di una Onlus: Il Ritorno. Il logo contiene l’immagine di una farfalla. Gli ospiti de Il Ritorno giovani e adulti che hanno compiuto quella trasformazione e sono diventati delle vere e proprie farfalle. In seguito a incidenti stradali o cardiovascolari, hanno vissuto lunghi periodi di coma e a questi forti traumi sono derivate disabilità e celebro lesioni.

E’ da considerare sin da subito l’impatto psicologico che ha la disabilità acquisita e la celebro lesione sulla persona e anche sul nucleo familiare di appartenenza. Ci si trova di fronte ad una totale estraneità e si sente sin da subito l’esigenza di rapportarsi con enti che possano dare il giusto supporto psicologico e la possibilità di mettersi in relazione con altre persone e famiglie che hanno vissuto la stessa trasformativa esperienza. Il laboratorio prendipARTE è stato pensato come mezzo grazie al quale la persona ferita potesse scoprire l’Arte come canale comunicativo, questo grazie alla scelta e all’utilizzo di materiali come le tempere, gli acrilici, la creta, la carta, lo stucco; materiali che, nella loro apparente semplicità di utilizzo, hanno consentito ai singoli di dimenticare quel senso di frustrazione che li ha accompagnati per diversi anni nelle loro vite. Lo scopo è stato quello di fornire al gruppo uno spazio neutro nel quale rel-azioni, emozioni, trame e tracce di vissuto colloquiano fra loro dando forma ad una comunicazione non verbale capace di far sentire il corpo nuovamente parte di un presente al quale non è stato strappato alcun passato, ma che piuttosto ha dato un valore aggiunto a tutto ciò che è stato.

Il gruppo si è ri-unito in un’unica energia capace di creare uno sfondo emozionale dal quale ri-partire, questo è il senso del “qui ed ora” che per mesi ha accompagnato l’Atelier di Terapeutica Artistica nella Onlus Il Ritorno. Obiettivo principale del laboratorio è stato quello di sostituire il vissuto di impotenza e isolamento con un più costruttivo vissuto di alleanza terapeutica e intraprendenza per combattere la perdita grazie all’Arte, vista come canale unico di comunicazione per fare urlare i silenzi delle repressioni, per lenire le domande di mondi inascoltati.

Donatella La Pietra

© Donatella La Pietra
Per l’utilizzo e approfondimenti si prega di contattare l’Associazione IL RITORNO APS.